domenica 30 gennaio 2011

Dialogo tra generazioni

In queste settimane sto svolgendo incontri di pratica filosofica sul tema del "dialogo tra generazioni". 
Insieme ai partecipanti ho ricercato quali siano i presupposti, le difficoltà, gli argomenti possibili per far si che il dialogo avvenga. Devo dire che trovo questo argomento veramente appassionante; in esso penso ci siano gli aspetti essenziali per il futuro della nostra società .
Scrivo, qui di seguito, gli spunti da cui siamo partiti e ciò che -ad oggi- è emerso. 
P.s. se vi vengono in mente altre cose, aggiungete!!! Grazie!
                       
Introduzione del tema da analizzare filosoficamente.
Perché analizzare filosoficamente la possibilità -o meno- del "dialogo tra generazioni"?
La filosofia, proprio per la sua inclinazione ad indagare le cose, a ricercare il sapere, si pone come spazio di riflessione aiutando a riflettere sugli argomenti: fondando eventuali basi su cui poggiare i comportamenti umani.
In che modo?
Attraverso il dialogo si possono cercare punti comuni, divergenze concettuali, opinioni e visioni di mondo personali; tutto ciò può arricchire gli interlocutori, perché si viene a contatto con “l’altro”. Questo, oltre a creare nuovi spazi di comprensione,  può generare spunti e allargamento della visioni sulle cose.
Lo stesso Socrate, riferendosi al lavoro praticato dalla madre, che era ostetrica, diceva di far “partorire le idee” dei suoi interlocutori.
L’utilità del dialogo è quella di mettere sul tavolo della conoscenza -condivisa- ciò che riteniamo essere giusto o sbagliato; questo può contribuire a vedere le cose da più punti di vista. Certo, non è sempre semplice, però può aiutare a clgliere  prospettive e sfumature che. ad oggi, non sempre abbiamo preso in  considerazione.
Conseguentemente può essere pratico rivedere i concetti in modo allargato, perché se vediamo le cose in modo più approfondito può essere che lo giudichiamo diversamente, come dice Lewin: “non  c’è niente di più pratico di una buona teoria”. Cioè, per quanto -a volte- si sente dire  frasi del tipo "la filosofia è cosa astratta” o che “ è lontana dal mondo” e così via, possiamo ritenere che in realtà i nostri pensieri, i ragionamenti, le considerazioni ricadono –poi- sulla vita di tutti i giorni.

Un breve accenno sul significato delle parole “dialogo” e generazione”, per   riflettere in modo approfondito sul tema.

Dialogo (dal greco dià, "attraverso" e logos, "discorso") indica il confronto verbale tra due o più persone; è un mezzo utile per esprimere sentimenti diversi e discutere idee contrapposte.
In generale, il dialogo è fenomeno tipico della cultura; in questa prospettiva si contrappone al monologo, al ragionamento individuale.
Socrate, come già accennato, era un forte sostenitore del dialogo, vedendolo come modello di critica dell’opinione, Platone lo definisce come via, dialettica, che porta ad intuire la verità. Con il dialogo si crea l’intersoggettività, cioè: non la mia opinione, non la tua opinione…ma la nostra opinione come punto d'incontro dei nostri modi di vedere le cose.
Il dialogo non ha come fine il consenso, ma un reciproco progresso, un avanzare insieme.
Generazione: identifica un insieme di persone che è vissuta ed è stata esposta a degli eventi che l' ha caratterizzata. Raggruppa, cioè, tutti quegli individui segnati dagli stessi eventi (esempio: movimenti studenteschi del '68, ecc.). Gli eventi influiscono sulla generazione che li ha vissuti, determinandone dunque un mantenimento di caratteristiche proprie di quel momento storico, culturale e sociale. L’opposto di generazione è “distruzione”!
In filosofia, la parola "genere" viene anche usata per indicare una categoria di oggetti che hanno in comune proprietà essenziali e differiscono per proprietà essenzial.

Tornando al metodo proposto nella pratica filosofica è opportuno ricordare che la filosofia nelle scuole ellenistiche veniva insegnata  attraverso proprio attraverso il dialogo (e non –solo- attraverso il monologo di discenti), il quale vantava origini antiche nella filosofia greca (punto di riferimento è -il già citato- Socrate (470-399 a.C.)  che, com’è noto, non ha lasciato nulla di scritto).
La filosofia per queste tre scuole (stoici, epicurei e scettici), non è identica ma di fatto spesso le definizioni sono coincidenti.
Per gli stoici: la filosofia è «l’esercizio di un'arte utile, e utile è solo e innanzitutto la virtù» (SVF 11, 35), mentre per Epicuro è: «l'attività che per mezzo di discorsi eragionamenti procura la vita felice» (fr. 230 Arrighetti). Quanto agli scettici, poi, essi definiscono la  loro filosofia come: «capacità di mettere a confronto in qualsiasi modo le cose fenomeniche e quelle intelligibili>>.

Fatte queste precisazioni, espongo  quali parole sono emerse negli incontri di pratica filosofica sul "dialogo tra generazioni". Ognuna ha aperto domande e riflessioni che, in modo dinamico, possono crescere di significato giorno dopo giorno. 
Eccole di seguito:

-l’educazione (chi la da? e chi la riceve? cos'è? quando è buona e quando no?),
-i valori (chi li ha? a chi mancano? cosa sono?),
-la libertà (di cosa si tratta? ...di ogni individuo, di ogni generazione),
-la condivisione (Intesa come comunicazione buona)
-la solitudine (nella società dell'individuo: specie in alcune categorie -anziani, giovani),
-l’ascolto(che dovrebbero avere sia giovani che adulti),
-la capacità di comprensione (degli adulti nei confronti dei giovani),
-la paura (dell'individuo dell'altro),
-l’obsoleto (cioè,  l'adulto che si percepisce "fuori giri" rispetto a chi non è "giovane”).

C’è un aspetto squisitamente filosofico, sottostante alle parole emerse, che si può porre come fondamento della nostra ricerca: il tema è quello della verità.
Perché? Il nostro ricercare sulle possibilità di dialogo tra generazioni non vuole certo trovare “il modo di aver ragione sui giovani”, oppure “su come essere coercitivi nel modo giusto” ecc.,  ma su quali possono essere le basi per instaurare un dialogo: come confronto, come condivisione.
Dalle nostre riflessioni è emerso che: comprensione, ascolto attivo, sincera attenzione possono essere aspetti importanti su cui puntare per costruire un ponte comunicativo.
L’abitudine alla ricerca di senso, di verità,  per la scoperta del mondo può forse essere una spinta su cui fare perno. A volte è più importante il tragitto fatto piuttosto che la meta da raggiungere (se raggiungibile); cioè, non è così importante trovare la verità ma, piuttosto, percorrere la strada della ricerca della verità.
Come dice un bellissimo proverbio magrebino: “nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare le carovane”.

Per inciso,
Per gli antichi greci la verità, che chiamavano Alètheia, con l'alfa privativo, era  il contrario di ciò che si copre: è ciò che si scopre nel giudizio. Quindi la verità era dis-svelare, togliere il velo dalle cose (come avrebbe detto qualcuno molto più avanti “squarciare il velo…”).
Nel nostro ambito latino “veritas” è un termine che -proveniente dalla zona balcanica e dalla zona slava- vuol dire "fede”, implicando quindi una derivazione differente da quella greca: potremmo dire che esistono due differenti modi di intendere la verità.
Una verità che è “svelare il significato nelle cose” e una verità assunta come fede, come certezza a prescindere.

Dialogare con l’altro può essere -quindi-  un atto di ricerca di verità: la "sua" ma anche la "nostra",  i punti in comune e le distanze,  ciò che è giusto e ciò che non lo è (indangando cosa, ognuno, intenda per "giustizia"…)...

..cosa ne dite...?