giovedì 31 marzo 2011

Comunicare (il) Bene?

Comunicare, inteso come atto di condivisione, crea spazi di contatto.
A volte, non è che diamo un po' per scontata l'intenzione dei nostri agiti non curandoci del risultato poi ottenuto?
Bene? ...Per chi? Per quello che conpie l'atto o per chi lo "subisce"? Per chi dice: "lo faccio per il  <<bene>> (di qualcuno)", oppure per chi  dovrebbe apprezzare una certa attenzione?... e...invece...
Conta l'attenzione a comunicare un atto nel migliore dei modi, per non essere fraintesi, oppure essere fraintesi e puntare al raggiungimento dell'obiettivo ritenuto "buono"?...Si, ma, cos'è "buono"?...
Non vorrei  essere frainteso -io- ora. Non è al relativismo che punto, ma evitare l' abitudine a generalizzare e banalizzare ciò che non vedo nell' "altro" da me.

7 commenti:

  1. Ciao Davide, rieccoti!
    Penso sia facile dare per scontate molte cose in quanto pensiamo e comunichiamo per come siamo fatti noi non curandoci di come sono fatti gli altri e di come possono percepire le cose per come sono fatti essi stessi e per il loro vissuto.
    Bene per chi? Mah sai spesso la scusa è "lo faccio per il bene di.........." ma alla fine il bene penso sia solo nostro; come nel fare volontariato per esempio, si dice farlo per il bene degli altri, ma se ci si pensa bene forse è una compensazione per noi.
    Per la mia poca esperienza chi riceve difficilmente lo fa con serenità d'animo, penso ci sia sempre un minimo di fastidio nel ricevere.
    Certo che conta l'attenzione a comunicare per non essere fraintesi, però non trovi che sia faticoso e per nulla naturale?
    L'obiettivo chi lo può ritenere buono?
    Penso non esista un buono assoluto nella relazione, dipende da come lo vedi.
    Vorrei porre io ora uno spunto al dialogo: "E' meglio comunicare per come ci viene istintivo e naturale o porre attenzione a come comunichiamo per non.............?"

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  2. Ciao,
    grazie degli spunti!
    Ponendo la domanda ("E' meglio comunicare per come ci viene istintivo e naturale o porre attenzione a come comunichiamo per non.............?") metti sul piatto un dilemma che però, forse, ha bisogno di una premessa e cioe: chiarire perchè mi pongo tale quesito.
    La domanda che fai dovrebbe, forse, essere preceduta dalla definizione del fine dell'azione. Se lo identifico non potrebbe poi essere più chiaro decidere come agire (istinto o attenzione?)?...Che ne dici?

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  3. Giusto, riformulo la domanda: "In un rapporto amicale o parentale in cui voglio essere compreso per come sono, è meglio comunicare per come ci viene istintivo e naturale oppure porre attenzione a come comunichiamo per cercare di far leggere all'altro il messaggio per come vorremmo venisse interpretato?"
    In un rapporto di lavoro o con persone con cui non abbiamo rapporti interessanti: "IDEM..........."
    Ciao

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  4. Ciao,
    ...domanda: "Si ma....come sei/come siamo?".
    Cioè -mi chiedo-: identificare chi siamo non fa parte del percorso che va a definire, poi, in che modo vogliamo farci conoscere?

    Quando dici: "..voglio essere compreso per come sono...", mi chiedo(domanda successiva a quella che pongo sopra): "una volta identificato chi sono, come posso portare questa conoscenza agli altri?"
    p.s.
    Se vuoi, potresti firmare i post, così posso chiamarti per nome...grazie, ciao!
    Davide

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  5. ...Avendo partecipato in questi giorni ad un incontro sul tema "comunicare (il) bene", vorrei aggiungere alcuni spunti emersi. Contributi stimolanti, nati dal confronto di parecchie persone riunitesi per discutere e condividere.
    Partiti dal significato di comunicazione –specificando che la parola dovrebbe porre l’accento sull’aspetto di condivisione-, spesso travisando e focalizzando quest’azione come invio di messaggi "a senso unico".
    Comunicare è -quindi- condividere.

    Siamo approdati ad alcuni spunti proposti dalle teorie della pragmatica della comunicazione, cioè dagli atti pratici dell'agire umano analizzati dalla scuola di Palo Alto.
    Ecco, di seguito, i tre assunti presi in esame.

    Primo. Premettendo che le persone comunicano verbalmente, paraverbalmente ed in modo non verbale, ne consegue che noi comunichiamo sempre e comunque, che lo vogliamo o meno (anche quando non parliamo!): quindi non comunicare è impossibile.
    Secondo. Ognuno di noi ha una sua mappa mentale (Cos’è una mappa mentale? La nostra rappresentazione del mondo. “Il mondo è una mia rappresentazione” diceva Schopenhauer).
    Per certi versi la mappa mentale è impossibile da comunicare in tutte le sue sfaccettature (provate a prendere in mano una qualche illusione ottica: non tutti vedono le stesse cose). Questo potrebbe farci riflettere sul fatto che quello che a volte noi vediamo non è così comprensibile all’altro proprio perché partiamo da punti di vista differenti.
    Terzo. E’ stata sottolineata l'importanza del feedback delle nostre azioni: è “più semplice” dare attenzione alle nostre “intenzioni” che rendersi conto delle risposte che esse poi provocano.
    Forse sarebbe più corretto, dato che comunicare è condividere, stare molto attenti alle risposte che otteniamo.

    Ci siamo poi chiesti da cosa partiamo quando decidiamo di conoscere l’altro (o portare un “qualcosa” di noi all’altro).
    La curiosità pare sia è il motore e l'intuito il “primo ponte” tra noi e l' "alterità (sarebbe stato interessante chiederci "cos'è l'intuito?"ma sarà per un'altra volta...).
    “Ma l’intuito basta?” Ci siamo chiesti.
    Platone, nel sesto libro della Repubblica, parlava del Bene e della sua conoscibilità.
    Il "Bene" secondo il Socrate da lui raccontato, è come una fonte che illumina le idee dando la possibilità alle persone di conoscerle ma, allo stesso tempo, che esse “siano come sono”. Tutto è per mezzo del "Bene", anche se la sua emanazione può trovare declinazioni che appaiono poi essere anche corruttibili: a seconda della loro comprensibilità diventano, per l’uomo, interpretabili e quindi anche trasformarsi in “meno buone”(es. la forza: può essere sia buona o meno buona da come viene conosciuta, interpretata, realizzata in vista di…).
    Nel sesto libro della Repubblica di Platone “l’intuito” potrebbe essere è una chiave di passaggio tra opinione e conoscenza. Dall’opinione si può intuire e poi sviluppare scienza e verità (anche se esse stesse sottostaranno sempre e comunque al Bene).
    Dallo spunto della Repubblica abbiamo riflettuto sul fatto che l’intuito può avvicinarci all’altro, la curiosità farcelo conoscere, ma per entrare profondamente nello spazio di comprensione delle persone dobbiamo ascoltare attivamente ricercandone i significati intesi, scoprendone le “verità” –non la Verità!- di cui queste sono portatrici. Anche se non potremo mai conoscere fino in fondo l'"alterità", potremmo dire che il tentativo di fare chiarezza, di conoscenza di ciò che è portatore l’altro da me, può aiutarci a sospendere pregiudizi e accostarci con sincera voglia di comprendere (sulla variegatura dela parola “verità” avevo postato alcune cose emerse in altri incontri ne “dialogo tra generazioni” di gennaio).
    Diceva Lessig: “Il valore dell’uomo non sta nella verità che qualcuno possiede o presume di possedere, ma nella sincera fatica compiuta per raggiungerla”.
    Termino con una domanda: in cosa consiste il “bene” che abbiamo da donare agli altri?

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  6. Il bene da donare agli altri!!!!!!!!!!!!!!!!
    Eh, bella storia!!!!
    Per me il bene da donare agli altri siamo noi, con i nostri pregi, difetti, menate varie, ma con sincerità, con purezza di spirito cercando di non abbellire i difetti.
    Il bene, come il male, sono dentro di noi, ne fanno parte integrante: tutto sta divenirne consapevoli. Il bene è AMORE, amore senza se, ma, però, a patto che.............
    Il bene è accettazione ma non senza critica costruttiva delle azioni;
    il bene è comprensione, ma non a tutti i costi.
    Il bene è dire no o voltare le spalle quando l'altro ti ferisce per fagli capire che..........
    Il bene sono le mille verità che viste da prospettive diverse possono apparire non vere, l'importante è mettere verità e pseudo verità in zona neutra e fare da osservatori.

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  7. Ciao,
    mi chiedo se "donare noi stessi con i nostri pregi e difetti" possa essere sempre valido come esempio di bene "agito". A volte, purtroppo, non sono le buone intenzioni a far si che il responso di un'azione si "buono per tutti". Cosa fa -allora- di un'azione...una "buona azione"?
    (Potresti mettere un nome o uno pseudonimo? Grazie!)
    Ciao

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