sabato 11 dicembre 2010

Il corpo inutile...

Osservando i vestiti che vengono realizzati in questi anni pare, spesso, ci sia un curioso scollamento dalla realtà. Sembra che essi siano “autosufficienti”, oggetti a sé, privi del consueto fine di essere "solo" un abito, un’abitazione, per un corpo.
Perché figure ossute, incolori, di una magrezza scheletrica ostentata? Forse perché ciò che deve risaltare è  il vestito e non la persona? I “target da seguire”, cioè alla moda (e che spesso suggeriscono alcuni requisiti essenziali: magrezza, abiti dalla scomodità al limite della sopravvivenza  ecc.), cosa rivelano? Cosa indicano?
Certi canoni sociali appaiono un vuoto esercizio di stile -sempre più sofisticato e contorto- che mostra un' emancipazione contenente, nelle sue dinamiche interne, una certa spogliazione della scelta consapevole dalla libera volontà.
Questa spogliazione fa risaltare un pericoloso fenomeno consistente nel negare una parte della persona, non riconoscendole profondità e dignità individuale, proponendo -così- un modello superficiale e semplificato. Se un “target sociale" comunica la necessità di un corpo magro per stare bene in un vestito, sottilmente suggerisce una prospettiva quanto meno controversa: l'abito merita più rispetto dell'individuo e, quest'ultimo, è un ovviabile orpello su cui far risaltare meglio i tessuti.
Si ha l’impressione che i “target da seguire” non si riferiscano ad una persona vera, in carne e ossa, ma a superfici su cui è possibile adagiare splendidi (si fa per dire) vestiti. Pare, poi, che le asticelle di questi parametri si abbassino (o, in alcuni casi, siano stati abbassati) sempre più fino ad essere fuori  portata delle esistenze reali.
Se una società trasmette che la taglia ideale -sempre più ristretta, sempre più al ribasso- è un traguardo importante da raggiungere per la realizzazione personale (e spesso implicitamente è così), può anche suggerire in modo sotterraneo questo: il corpo è uno strumento, più o meno utile, che serve per dare vita ad un vestito.

3 commenti:

  1. Purtroopo credo anch'io che sia così:è esperienza di tutte le donne vedere le taglie dei vestiti diventare ogni anno più "strette" e irreali..dal mito della taglia 42 siamo passati nel volgere di pochi anni al mito della 40 ed ora della 38,sembra non esserci fine..corpi scheletrici e irreali popolano le passerelle e la Tv,niente di più lontano da corpi veri di donne vere che col loro corpo vorrebbero vivere,esprimersi,amare...

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  2. Io ho come la sensazione che si voglia scomparire.
    Oggi non si parla quasi più, tutto avviene attraverso un anonimo schermo di PC, non ci si confronta uno davanti all'altro magari seduti al tavolo di un bar o in salotto a casa propria, il corpo scompare o non appare (apparire).
    Lo stesso accade per come si vuole scomparire in taglie 38, 36, 34: non è la persona a portare un abito, ma l'abito a contenere un ricordo di persona.
    Cosa ne pensi? Dony

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  3. Eppure, nel celarsi all’ “altro”, qualcosa emerge.
    Qualcosa c’è (e si vede o percepisce) e qualcos’altro si nasconde.
    Perché? In che misura l’uno e l’altro? Quali sono i parametri di riferimento?

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